Il desiderio è un sentimento che è collegato alla soddisfazione di un bisogno, un’emozione che si fa largo nella nostra coscienza al fine di conseguire un determinato piacere.
È importante far notare qui che l’idea di perseguire un piacere o il mantenimento dello stato di salute dell’organismo, chiamato omeostasi, andando a soddisfare un bisogno è la radice di tutti i desideri.
Questo processo, come vedremo, è già determinato nei diversi momenti dell’evoluzione biologica.
Il desiderio come prodotto dell’evoluzione
I processi di questo tipo avvengono attraverso l’acquisizione di quelle che vengono chiamate dotazioni neuro-comportamentali che si aggiungono alle altre dotazioni. Negli organismi semplici, queste dotazioni preesistenti hanno un obiettivo molto preciso: mantenere l’omeostasi.
Negli organismi più complessi i processi di questo genere diventano predominanti. Bisogna infatti considerare il desiderio come un prodotto dell’evoluzione ed è presente in moltissime specie animali.
Nonostante tutte le differenze del caso, il meccanismo biologico e comportamentale è lo stesso per tutte le specie.
Ciò che avviene negli esseri umani attraverso i sentimenti e le emozioni, con la comunicazione simbolica, molte specie animali lo traducono in azioni, ma il principio di funzionamento è il medesimo.
Il desiderio e tutta la gamma di processi legati alle emozioni e alle motivazioni che lo guidano, sono entrati a fare parte dell’evoluzione biologica come una forma di adattamento straordinaria per gli uomini e per gli animali.
Ciò è tanto vero che se il processo del desiderio non funziona correttamente e presenta delle disfunzioni o delle interruzioni, si osservano delle carenze di desiderio che possono portare a delle vere e proprie patologie.
La psicobiologia e l’adattamento
Come noto la psicobiologia è una scienza che studia il comportamento in riferimento alle sue basi biologiche: in buona sostanza osserva il comportamento in riferimento soprattutto al sistema nervoso.
Questa ottica particolare viene impreziosita anche da una prospettiva evoluzionistica in modo da analizzare il comportamento in maniera dettagliata.
È bene precisa che con “comportamento” ci si riferisce a tutti quei processi mentali umani e animali che coinvolgono la memoria, le emozioni, le percezioni, l’apprendimento, l’attenzione…
Già dal nome “psicobiologia” si intuisce che questo tipo di approccio scientifico fonde insieme la psicologia con la biologia, a cui si aggiungono altri approcci come quello della genetica del comportamento, le neuroscienze cognitive e tanto altro.
Grazie a questo tipo di studi è stato possibile osservare come certi meccanismi e processi siano volti, nell’animale, all’equilibrio omeostatico.
Ovviamente per mantenere questo tipo di equilibrio è necessario per l’animale coinvolto compiere tutta una serie di “aggiustamenti”.
Tutti gli esseri viventi hanno bisogno di una certa capacità di adattamento in modo da regolare il proprio organismo ai cambiamenti che avvengono nell’habitat o all’interno del sistema stesso.
Al variare di una situazione esterna, ad esempio, possono cambiare nell’animale la pressione sanguigna, il ritmo cardiaco, la liberazione di glucosio nel sangue, la produzione ormonale… tutti aggiustamenti che preparano l’approccio migliore alla nuova situazione.
Walter Bradford Cannon, grande fisiologo di inizio Novecento, sosteneva che l’organismo si preparava, attraverso questi adattamenti, ad una risposta valida che poteva esprimersi in soltanto due reazioni di fondo: ad attaccare o a scappare.
Il fenomeno che attiva il comportamento adattivo può venire dall’esterno o dall’interno, e si esprime in una risposta innata che può essere osservata sia negli organismi semplici che in quelli più complessi come l’uomo.
Seguendo questo tipo di analisi, dal punto di vista dell’evoluzione, le emozioni sarebbero delle risposte globali, ovvero sia interne che comportamentali, che l’organismo dà per controllare eventi che sono legati alla sua sopravvivenza.
Detto in parole estremamente semplici e riduttive, le emozioni sarebbero degli adattamenti fortemente conservativi che durante l’evoluzione si sono dimostrati i migliori per la sopravvivenza dell’organismo.
Una risposta automatica che è diventata innata nel momento in cui si è rivelata vantaggiosa per la sopravvivenza.
Le risposte di approccio o di evitamento, come detto in precedenza “attacco o fuga”, vengono conservate e tramandate in tutta la storia evolutiva e probabilmente questi meccanismi essenziali erano alla base dell’evoluzione dei primi organismi presenti sul pianeta anche se non erano dotati di capacità di valutazione.
Un ottimo esempio di quanto sopra esposto è quello del “paramecio”, un organismo monocellulare che è capace di orientarsi seguendo le condizioni migliori per la sua sopravvivenza: si allontana da sostanze nocive, si avvicina a quelle nutritive, si sposta in zone in cui la temperatura è più adatta… eppure è costituito di una sola cellula e si sposta nelle acque dolci per mezzo delle ciglia di cui è rivestito.
Seppure il principio di funzionamento sia simile, ovviamente nei sistemi complessi come quelli degli animali mammiferi, il raggiungimento dell’omeostasi viene ottenuto con una serie di processi piuttosto complessi che coinvolgono funzioni importanti.
La dotazione di strumenti fornita agli organismi monocellulari non è ovviamente la stessa fornita ad animali predatori, ad esempio. Ne consegue che anche le risposte saranno molto più complesse.
Approccio e evitamento: il parametro essenziale
Approccio ed evitamento è considerato un parametro assolutamente irrinunciabile nell’analisi dei comportamenti e nello sviluppo delle più importanti teorie a riguardo.
Anche Freud sviluppò una teoria della motivazione incentrata sul piacere e il dolore, presi come dicotomia fondamentale. Non vi è dubbio che il piacere possa corrispondere all’approccio e il dolore all’evitamento.
È solo una questione terminologica ma il principio è lo stesso: alla base ci sono le motivazioni che assicurano la sopravvivenza.
Il funzionamento è semplice da comprendere: quando la disponibilità delle risorse è limitata ci si procura quello che è essenziale per la sopravvivenza, una volta assicurati questi bisogni primari è possibile sviluppare altri processi.
Se, ad esempio, nell’ambiente in cui ci si trova è difficile procurarsi cibo, la fame produrrà uno stato emotivo dando origine ad una sistema particolarmente efficace: infatti in questo caso la motivazione si sposa perfettamente come l’emozione.
L’esempio del disgusto
Le emozioni si sono sviluppate, secondo le teorie più credibili al momento, attraverso un’elaborazione di procedimenti sensoriali e motivazioni fisiologiche. Ci viene in aiuto, per comprendere questo procedimento, l’esempio del disgusto.
Uno dei grandi classici del mondo animale è l’espulsione del cibo dalla cavità orale quando non ha un gusto adeguato. Esattamente come alcuni organismi monocellulari scappano di fronte a sostanze nocive, gli animali più complessi, come l’uomo, sputano le sostanze che risultano sgradevoli al gusto e che spesso si rivelano tossiche o non commestibili.
I neonati automaticamente, senza alcuna esperienza, espellono dalla loro cavità orale qualunque sostanza amara accompagnando il rigetto con un’espressione chiara di disgusto.
Da notare che questo comportamento viene eseguito anche da bambini sprovvisti degli emisferi cerebrali, questo per dire quanto questo comportamento sia radicati nella specie umana.
Da questo momento in avanti, per il bambino, il disgusto verrà associato anche ad altri contesti, non solo quello alimentare: persone, usanze sociali, eventi fisici… tutto questo, e molto altro, può portare a provare la sensazione di disgusto.
Istinti, riflessi e motivi
Per fare chiarezza su alcuni termini, molto spesso utilizzati a sproposito, vediamo qui di seguito una distinzione tra istinti, riflessi e motivi.
Studiando a fondo le risposte e i comportamenti adattivi si scopre che quelli più antichi vengono chiamati nel linguaggio comune “istinti” e sono costituiti prevalentemente da cambiamenti ormonali che influiscono sulla parte motivazionale negli organismi semplici e diventano meno influenti negli organismi più complessi che preferiscono una certa plasticità comportamentale.
Le risposte degli istinti infatti sono estremamente rigide, fisse, senza alcuna adattabilità alla situazione specifica. In questo senso però ad essere maggiormente legati allo stimolo che li attiva sono i riflessi che una volta azionati non possono essere più fermati.
L’istinto invece, seppure sia un adattamento antico, piuttosto rigido e legato molto spesso alle funzioni vitali, può essere interrotto e a volte anche modificato in base ad alcune valutazioni.
I motivi invece, che spesso vengono confusi con gli istinti o addirittura con i riflessi, sono dei bisogni fisiologici dell’organismo. Eliminazione delle scorie dall’organismo, fame, sete, evitamento del dolore, sesso, ricerca del benessere…
Il sistema dei motivi si basa sulla fisiologia e tutti quei processi che vanno a regolare la respirazione, la circolazione del sangue, la regolazione della temperatura dell’organismo e in generale quell’equilibrio ottimale in cui l’organismo “si sente al sicuro”.
Bisogna a questo punto aggiungere che la potenza delle emozioni si esprime in organismi complessi, come in quello umano, con motivazioni che vanno oltre alle semplici necessità vitali.
Amore, orgoglio, pietà, altruismo, difesa di sé, difesa dei propri cari, atteggiamenti di gioco… sono tutti aspetti e meccanismi validi per l’uomo e per altre specie che non sono legate necessariamente a meccanismi vitali e che comunque fanno parte del grande processo delle emozioni.
Il meccanismo delle emozioni
Il ruolo dell’emozione è quello di mettere in moto l’energia guidandola verso un obiettivo specifico coinvolgendo in questo “movimento” sia la parte fisica che quella psichica dell’individuo.
Quando un uomo è arrabbiato non fuggirà, così come quando è spaventato a morte non passerà all’attacco. In pratica l’emozione funge da filtro per le esperienze sensoriali: attraverso lo stato emozionale si attribuisce un valore all’esperienza, la si classifica in qualche modo.
Nella stessa situazione un individuo può sentirsi felice o infelice, ed è solo attraverso il filtro che va ad applicare che la realtà avrà fosche tinte o colori sgargianti.
Le emozioni fondano il loro funzionamento sulla valutazione degli stimoli che vengono recepiti dall’organismo. Si tratta in sostanza di processi che mettono in atto delle sequenze di eventi che partono dalle sensazioni e procedono poi con le valutazioni cognitive e i comportamenti.
Questo tipo di meccanismo è presente in moltissime specie animali, ma ovviamente negli animali superiori vi è una complessità assolutamente differente.
Infatti l’evoluzione del sistema nervoso ha ribaltato le carte in tavola: questo sistema straordinario ha portato allo sviluppo dei sistemi sensoriali, delle percezioni e alla messa in atto di sistemi di comunicazione straordinariamente complessi e sofisticati.
Il cervello e le sue funzioni cognitive hanno dotato gli animali di capacità straordinarie, ovvero quelle di prevedere il futuro: questi soggetti infatti sono in grado di rappresentare gli eventi che dovranno accadere, di integrare le informazioni che hanno raccolto attraverso diversi sistemi sensoriali, di memorizzare tali informazioni e di classificarle, di formare le mappe degli ambienti in cui si muovono, tutte capacità che hanno sviluppato e potenziato la possibilità di attivare sistemi comportamentali guidati sa emozioni e motivazioni importanti ai fini dell’adattamento.
Da notare il fatto che le capacità cognitive, una volta che si sono sviluppate, hanno ampliato il loro raggio d’azione e non sono rimaste esclusivamente collegate alle emozioni.
Da questo punto di vista è possibile dunque notare come non si può dividere emozioni e cognizioni basandosi sul tempo: l’emozione antica e la cognizione moderna.
È necessario infatti approcciare questo tema considerando lo sviluppo di emozioni sempre più complesse che si connettono perfettamente con le funzioni cognitive e con lo sviluppo di tutte le strutture nervose. Non è una questione di vecchio e nuovo, ma di qualcosa di meno complesso ed evoluto che cresce e si sviluppa.
Lo sviluppo del sistema nervoso e la comparsa dei sistemi emozionali-motivazionali
Durante la sua evoluzione il sistema nervoso, collegandosi alle emozioni e alle funzioni cognitive complesse, ha visto uno sviluppo incredibile nel mantenimento dell’omeostasi: entrano dunque in gioco delle dotazioni neuro-comportamentali che si occupano dell’elaborazione da meccanismi comportamentali che si basano sull’attribuzione dei valori, diventando così dei comportamenti motivati.
Detto in maniera piuttosto semplice: con lo sviluppo delle capacità cognitive e di quei processi di valutazione tanto importanti, i comportamenti per il mantenimento dell’omeostasi non sono più guidati semplicemente dalle percezioni dell’ambiente interno e non si basano più su meccanismi innati.
A questo punto dell’evoluzione si è usciti dalla connessione diretta stimolo-risposta, e si è entrati in una fase in cui intervengono dei processi molto complessi che si fondano sull’apprendimento, sulle emozioni e sulla memoria.
Ci si trova di fronte dunque ad un mondo completamente differente che guarda all’emozione come ad un’estensione dell’omeostasi. Ecco dunque che si può iniziare a parlare di sistemi emozionali-motivazionali.
Quando si attiva un sistema di questo genere con esso entrano in funzione anche i sistemi fisiologici che consentono l’omeostasi e l’attuazione dei comportamenti finalizzati a tale scopo.
Negli organismi più complessi, come quello dell’uomo, la motivazione fa un passo evolutivo in più: infatti non si basa più su stimoli che arrivano all’organismo da processi motori e sensoriali, ma qui la motivazione può andare oltre gli stimoli attuali, del presente immediato.
Alla fine dei conti la motivazione poggia le sue basi sull’emozione e sull’apprendimento di esperienza che sono state classificate emotivamente e che hanno ricevuto un valore anche se non fanno parte di operazioni fondamentali che vanno a soddisfare i bisogni.
Vista da quest’ottica la motivazione non è altro se non l’attivazione di un comportamento che ha uno scopo molto preciso, un obiettivo, mantenuto nel tempo, che ricopre un certo grado di energia.
È il processo di attribuzione di salienza motivazionale, come viene chiamato, a stabilire il grado di energia. In pratica tutto si fonda sull’esperienza, che può essere legata ai più svariati stimoli di natura differente e che viene caratterizzata da una carica emotiva intensa.
Questa carica sarà poi la potenza di quell’energia che l’individuo in questione racchiuderà nella rappresentazione dell’esperienza stessa: ciò andrà dunque ad alimentare la ripetizione di quella esperienza.
Cercando di chiarire il concetto potremmo dire che l’esperienza non legata direttamente al soddisfacimento di un bisogno primario, come ad esempio una certa preferenza per un determinato sapore, può trasformarsi in un obiettivo prioritario per quell’individuo specifico.
Tutte queste esperienze si trasformano in una salienza motivazionale, una rilevanza, che può portare a mettere in atto un comportamento orientato verso un determinato obiettivo.
Questa salienza viene poi mantenuta nel tempo e stimoli o situazioni di diversa natura, che servano o meno a soddisfare un bisogno, possono dunque orientare un comportamento. Questo aspetto va definitamente a rompere il legame tra motivazione e bisogno e facendo emergere dunque il concetto di desiderio.
Il desiderio infatti può essere definito come un fenomeno che è fortemente ed intimamente connesso con la motivazione, se non è addirittura del tutto sovrapponibile ad essa, ma che può non coincidere con il bisogno o con la soddisfazione dello stesso.
Attraverso il desiderio
Come abbiamo visto in precedenza l’evoluzione del sistema nervoso ha portato ad emergere una capacità di elaborare comportamenti innovativi che si basano sull’esperienza e sono dotati di flessibilità e plasticità.
Da notare che la flessibilità e la plasticità in questo contesto sono caratteristiche estremamente evolute. Infatti nei sistemi nervosi più complessi è evidente una forte capacità di apprendimento, sistemi di valutazione sempre più raffinati, che permettono grazie alla flessibilità e alla plasticità di conseguire un migliore adattamento ad ambienti particolarmente complessi e variabili.
L’apprendimento e le emozioni costruiscono, mattone dopo mattone, la motivazione che spinge l’individuo ad andare oltre il desiderio verso obiettivi che promettono vantaggio di tipo adattivo.
La grande plasticità e la flessibilità della motivazione permettono anche di evitare di far percorrere al desiderio strade che non portano a vantaggi ed anzi risultino “nocivi” per l’individuo.
Con “nocivi” qui ci si riferisce ad obiettivi opposti a quelli adattivi. Sono proprio queste le caratteristiche che distinguono in particolare i mammiferi e che approfitta di sistemi neurali che sono comuni a diverse specie tra cui rientra anche l’uomo.
È la parte mediale dell’encefalo, nelle aree corticali e sottocorticali, che ospita questi sistemi neurali che sono collegati tra di loro in maniera molto complessa.
Nel sistema mesolimbico si trova la dopamina, un neuromediatore che va a regolare lo sviluppo del desiderio verso stimoli e esperienze piacevoli come il sesso, il cibo, le droghe… da notare che questo stesso sistema viene coinvolto anche nelle esperienze tutt’altro che positive come lo stress.
Questo sistema che ha una forte rilevanza nell’elaborazione di motivazioni sia positive che negative fa parte di un più ampio sistema che unisce assieme diverse aree corticali, neuromediatori e nuclei mesencefalici.
Merita una menzione uno di questi sistemi poiché ha un ruolo fondamentale nell’attribuire salienza motivazionale alle esperienze, di qualunque tipo, e nel regolare l’azione della norepinefrina (altro neuromediatore) nella corteccia prefrontale.
Con le molte osservazioni che sono state fatte in questo ambito è stato possibile confermare che il desiderio non viene generato soltanto da oggetti o situazioni particolarmente gratificanti o piacevoli per l’individuo, ma anche dalle situazioni spiacevoli o che spaventano.
In qualche maniera il desiderio di evitare una determinata situazione spiacevole equivale a quello di desiderare il presentarsi di una situazione particolarmente piacevole.
È interessante notare come la capacità di rappresentazione duratura sia legata alla memoria e alla memoria semantica nell’uomo, e permetta di rappresentare la motivazione che contiene il desiderio in maniera duratura e consapevole.
A questo punto è necessario specificare che la consapevolezza non è un attributo cruciale per il desiderio: il comportamento umano infatti è spesso guidato da desideri che non hanno nulla a che fare con la parte cosciente. A testimonianza di ciò è possibile fare riferimento a tutto l’enorme materiale raccolto dalla psicoanalisi prima e dalle neuroscienze poi.
La motivazione sociale
Nei mammiferi l’evoluzione dei sistemi cerebrali ha portato allo sviluppo di quella che viene chiamata la “motivazione sociale”. Stiamo parlando di un desiderio volto ad entrare in contatto con l’altro: è questo processo a creare la vita affettiva dell’individuo e la sua aderenza all’appartenenza sociale.
In questo tipo di desiderio ad avere un ruolo importante è il sistema degli oppiacei endogeni che vanno proprio a regolare la motivazione che spinge a cercare i propri simili ed il contatto con loro.
Su questo meccanismo poggia anche il desiderio di offrire piacere agli altri senza ricavarne per sé un diretto vantaggio: il gesto altruistico nasce dunque in questo modo. Sono molte le specie che sono capaci di questi gesti che possono portare anche ad un mancato guadagno per l’individuo che si prodiga per gli altri.
È importante sottolineare la presenza di questo mancato guadagno per accertarsi che sotto a questo meccanismo non ve ne sia un altro di tipo egoistico. Osservazioni di questo tipo sono state effettuate anche tra le scimmie che hanno evidenziato una capacità di intuire i sentimenti dei propri simili e di sviluppare il desiderio di offrire loro dei benefici anche a scapito dei propri.
Le disfunzioni
Ovviamente questi sistemi neuro-comportamentali che costituiscono le fondamenta del desiderio possono andare incontro a delle disfunzioni.
Ne consegue che un individuo colpito da questo tipo di disfunzioni possa andare incontro a patologie del comportamento che si possono manifestare con un eccesso o una carenza di desiderio.
Quando ci si trova di fronte ad un eccesso, con un’iperattività neurale, il desiderio assorbe gran parte dell’esistenza dell’individuo nella ricerca dell’oggetto in questione.
Per questo tipo di patologia vi sono molti esempi: dipendenza da sostanze stupefacenti, disturbi alimentari, dipendenze sessuali…
In momenti di particolare vulnerabilità dell’individuo vi possono essere stimoli o esperienze in cui la salienza motivazionale risulta particolarmente forte e quegli stimoli o esperienze possono diventare il centro della vita dell’individuo coinvolto, nel tentativo di soddisfare quel desiderio.
Quando invece il desiderio non è supportato in maniera adeguata dai sistemi neurali, l’individuo analizzato non si dimostrerà in grado di apprezzare le esperienze gioiose, allegre e gratificanti e, a maggior ragione, non sarà in grado di affrontare le difficoltà che trova nel suo percorso.
Un classico esempio di questa mancanza di supporto neurale è quello degli stati depressivi. Qualora il desiderio vada a perdere flessibilità e plasticità del comportamento, si andrà a presentare un’apertura verso un quadro patologico.
Ciò avviene poiché in fondo sono proprio la flessibilità e la plasticità a dare forza all’adattamento e alla creatività dell’individuo.
Conclusioni
A conclusione di quanto sopra riportato si rileva che il desiderio è sostanzialmente un prodotto dell’evoluzione, così come i processi motivazionali/emozionali rappresentano la base dell’adattabilità che ha permesso all’uomo e agli animali di evolvere.
Sono infatti le dotazioni neuro-comportamentali a costituire il terreno fertile su cui si è sviluppato il sistema nervoso dando origine alla comparsa delle funzioni cognitive complesse e alle emozioni.
Quella capacità di attribuire valore ha creato i cosiddetti comportamenti motivati e ha dato origine a tutto lo sviluppo.
È qui che avviene il salto quantico che permette di attribuire un valore incentivante anche a oggetti che non sono direttamente legati alla soddisfazione dei bisogni.
Da questo punto in poi inizia qualcosa di diverso, il meccanismo smette di essere mera macchina e fa un passo in avanti.